VISIONI E VEDUTE METROPOLITANE
Il significato etimologico di metropoli è Città-madre. Nell'antica Grecia il termine veniva usato dagli abitanti delle colonie per riferirsi alla città da cui erano partiti i padri fondatori, dal cui tempio veniva portato il fuoco sacro che sarebbe arso nel primo tempio edificato del nuovo insediamento. Madre dunque come matrice, origine, ma anche Madre perché rifugio, inteso come luogo sicuro immune da pericoli esterni, unione di forze per la difesa da predatori, da nemici o da fobie e ansie ancestrali, spesso relegate a emozioni intime e sopite. Un ordine primario a cui l’uomo, per sua natura è istintivamente portato. Il significato contemporaneo della parola metropoli nella vita quotidiana occidentale è meno drammatico e molto meno immaginifico, tuttavia gli artisti, Sandra Baruzzi, Daniel Jaulmes, Hudesa Kaganow, Elena Piacentini e Mariangela Redolfini, hanno raccolto queste ataviche memorie in esperienze estetiche colme di bellezza e metafore diversamente manifestate o celate, secondo il loro stile e le loro caratteristiche accezioni. Il progetto Vedute e Visioni Metropolitane nasce dalle riflessioni di Mariangela Redolfini e Elena Piacentini su questo tema: le due pittrici hanno voluto confrontare questi loro pensieri con altri artisti che condividessero il significato profondo e eviscerassero con strumenti artistici multiformi le varie sfaccettature di un soggetto così ricco di stimoli. Ecco l’innovazione: un progetto collettivo, armonico, globale, dove le esperienze individuali si incrociano creando un risultato fertile, una visione ampia e condivisa, sottolineata dalla qualità tecnica e dalla ricerca artistica pluriennale di ogni artista.
Sandra Baruzzi, artista ceramista e insegnante, attraverso la figurazione di sculture in ceramica colorata, fonda il principio delle “Geometrie urbane”: architetture di colori, di segni, di volumi, di pieni e di vuoti. Edifici in “terre di confine” dove prende forma l’immagine di una vita ai margini, nelle periferie, negli agglomerati urbani, un luogo dove viene conservato un carattere randagio, un luogo dove si accumulano contenitori di energie, forze, forme, geometrie, luci ed ombre. Incisioni orizzontali e verticali che tessono trame dove è incluso l’incontro con il vuoto. Il vuoto come condivisione di spazio che diventa apertura, dove il pensiero e il suo movimento trafila esperienze. In realtà queste opere in ceramica non sono altro che dei “non luoghi”, dei territori immaginari che desiderano esprimere, con l’energia delle loro geometrie cromatiche, delle terre di confine in cui s’avverte la percezione di un linguaggio caratterizzato da una condizione di perenne esilio e dal suo contrario, dalla ricerca di comunicazione. L’assenza di figure umane permette di rafforzare lo sguardo sulle linee forza dei tracciati e dei volumi. Linee verticali che si incontrano con le orizzontali, che segnano incroci, punti d’incontro, solidi che si sviluppano da ogni parti per congiungersi e con-fondersi con il cielo. Geometrie che tramano relazioni e integrazioni.
Daniel Jaulmes, giovane artista francese, concentra la propria tecnica pittorica sul paesaggio come sfondo nel quale racchiudere un racconto, dove i protagonisti del quadro si incontrano in una atmosfera rarefatta. Le opere di Jaulmes scandagliano il tema dell’attesa, come momento di arresto eppure foriero di novità, ma anche come attesa senza oggetto, intransitiva, o magari attesa di un qualcosa che resta ignoto all’osservatore. Scrive Daniel a proposito: “Ci sono due cose che ritrovo nei miei dipinti: Città e Persone. Le città e le persone s’incontrano, si mescolano, preferisco tuttavia interagire con il paesaggio. Nelle città ci sono le zone di ombre e le parti illuminate. A volte la facciata intera è in controluce, si vede soltanto la cornice, o invece risplende di luci che attraverso le finestre si riversano nelle strade. La visione della città è un gioco tra ciò che s’intravede e ciò che rimane nascosto. In città per prima cosa di una persona si vedono le spalle, in controluce: è un primo momento molto misterioso perché vediamo tutto senza sapere niente. Poi qualcosa si intravede, sino al momento più forte, che viene quando incrociamo gli sguardi. Allora si rivela tutto, anche se della persona continuiamo a non sapere nulla.”
Hudesa Kaganow, architetto e artista visivo franco-brasiliana, presenta alcuni lavori risultanti di una ricerca artistica sulla Antropizzazione, sul confronto o convivialità tra natura e metropoli.
Hudesa mette in luce il radicamento arcaico del rapporto esistente tra l’uomo e la natura che lo circonda.Quando interazione uomo-paesaggio è restrittivamente di carattere metropolitano, l’artefatto e l’edificato superano il primordiale. In questi casi, il paesaggio naturale è quasi impercettibile, diventando contenitore dell’operato umano. L’antropizzazione strema provoca spesso un disagio emotivo agli esseri umani. D’altra parte certi paesaggi, dove l’interferenza umana è minima, offrono delle vedute di una bellezza sconvolgente. L’artista cerca, attraverso questo studio, dei risultati che trasmettano delle emozioni sensoriali differenti secondo i diversi “gradi” di antropizzazione.Il giudizio positivo o negativo, sia reale che artistico, sarà formulato attraverso la visione e la vivenza dei risultati ottenuti e, soprattutto, l’effetto emotivo causato sulla stessa mano che l’ha creato.
Elena Piacentini, artista, restauratrice di decorazioni urbane del secolo XX e giornalista, trae dalla sua personale esperienza l’ispirazione per l’evento Vedute e visioni Metropolitane; in un continuo collegamento trasversale tra le due attività e le inevitabili ricerche da lei compiute sugli effetti degli spazi metropolitani negli stati emozionali. Scrive lo psicologo tedesco Daniel Leising che “il nostro comportamento e il nostro sentire è condizionato dalle forme degli spazi in cui viviamo”. Ogni essere umano dispone di un istinto rispetto al proprio territorio e alla zona personale, ad esempio è noto che in culture diverse dalla nostra lo spazio che si ritiene corretto occupare muta. Tuttavia, dato che il contenuto di ogni comunicazione viene dato da chi lo riceve, ogni spazio assume agli occhi di chi lo vive un significato. Proporzioni, forma e spazio hanno infatti un effetto sugli stati mentali delle persone, come ricordano Ludovica Scarpa e J. Hillman (Spazi urbani e stati mentali: come lo spazio influenza la mente, 2007, e La città e l’anima dei luoghi, 2004).
Mariangela Redolfini, pittrice e insegnante, a partire dall'esperienza nel campo architettonico sceglie di raffigurare paesaggi urbani attraverso cristalli di forma, ordine e esattezza. Dipingere è per lei un’operazione di sintesi, di distillazione del reale; l’obiettivo dei suoi lavori è “ricreare vere e proprie zone d’ordine: spazi di equilibrio estetico e cromatico, baluardi logici in cui difendersi dall’irrazionale e dal brutto che dilaga nella quotidianità”. La Redolfini è sostenuta nella sua ricerca artistica dalla lettura delle Lezioni americane di Italo Calvino, pagine in cui lo scrittore dà un particolare rilievo all’Esattezza, ovvero la capacità di rintracciare l’ordine dentro il caos: “L’universo si disfa in una nube di calore, precipita senza scampo in un vortice d’entropia, ma all’interno di questo processo irreversibile possono darsi zone d’ordine, porzioni d’esistente che tendono verso una forma, punti privilegiati da cui sembra di scorgere un disegno, una prospettiva”. Nelle creazioni di Mariangela ecco, quindi, che ogni cosa ritrova un suo posto e riacquista un significato proprio, alla cui costruzione l’osservatore è invitato a partecipare, poiché, come disse David Hume: “la bellezza delle cose esiste nella mente di chi le osserva”.
Nessun commento:
Posta un commento